CityNow incontra lo scrittore reggino Vincenzo Filardo: "Scrivere è come viaggiare"

di Maria D'Amico - Bentornati nella nostra rubrica

di Maria D’Amico – Bentornati nella nostra rubrica! Oggi è finalmente domenica e, come da programma, vi auguriamo che sia fantastica ed emozionante… con un bel #libro ovviamente!

#InsideTheBook vi presenta: “L’oltre che portiamo dentro” di Vincenzo Filardo, un’opera di prosa e poesia, che ripercorre la vita dell’autore prendendo spunto dai suoi scritti e appunti sin dagli anni ’70. Filardo traccia un percorso di parole come riflesso della sua vita, perché, come lui stesso afferma: “Scrivere è come viaggiare” e ciascuno di noi ha il suo viaggio da affrontare e da raccontare.

Conoscere direttamente la mano che si cela dietro le parole di un testo, riesce a darci un quadro più completo dell’opera, possiamo capire il perché delle scelte stilistiche, da cosa scaturiscono i pensieri dell’autore, possiamo scostarci dall’idea artificiosa che ci siamo fatti di lui tramite la lettura del libro e sostituirla con la sua vera identità. Ecco perché, abbiamo preparato per voi un’interessante intervista!

L’oltre che portiamo dentro” è un’opera che già dal titolo ci regala due sensazioni profonde, quasi contrapposte. Una relativa all’oltre, che spalanca le porte della mente a orizzonti sconfinati, l’altra, “dentro”, che ci riporta invece alla nostra dimensione “finita” di uomini. Lei pensa che l’uomo sia “finito” o deve prendere coscienza dell’infinito che porta dentro? Da cosa scaturisce il titolo della sua opera?

“Ho voluto unire in un titolo due avverbi oltre e dentro che indicano dimensioni spaziali e temporali antitetiche, per significare due cose che ho sperimentato concretamente nel mio percorso di vita. La prima cosa: se osserviamo la nostra anatomia, accanto al corpo fisico e alla mente, abbiamo una terza componente fondamentale, un po’ trascurata dalla vecchia cultura illuminista, che è la coscienza. Quando la riconosciamo, funziona come un motore che ci fa andare oltre, oltre i condizionamenti sociali, oltre alle ingessature mentali, oltre alle limitazioni del nostro tempo e del vivere quotidiano, oltre alle nostre insicurezze, alle nostre ansie e, ci fa vivere in uno stato di maggiore consapevolezza e responsabilità. Il lungo processo di emancipazione dell’uomo è stato, infatti, segnato da una progressiva ‘presa di coscienza’ da parte d’interi popoli, circa le proprie risorse e aspirazioni di libertà. Sulle coscienze hanno operato religioni, dottrine politiche, ideologie, ma siamo giunti a una crisi profonda di questi apparati che non sono più in grado di parlare all’individuo. Per questo motivo dovremmo trovare nuove vie per un sereno vivere sociale. La seconda cosa che vorrei dire è che il bisogno di un oltre fa parte di noi, lo portiamo costantemente dentro durante il nostro percorso di vita e si manifesta con maggiore intensità nei momenti più difficili e impegnativi. Nella maggior parte delle occasioni reprimiamo questo bisogno, preferiamo il grigio dei nostri giorni e il buio delle nostre notti, oppure non riusciamo a trovare quest’oltre. Così, quando riusciamo a trovarlo ed esprimerlo, ci sentiamo meglio, più sereni, più vicini a noi stessi e agli altri, apprezziamo il bello della natura, non ci facciamo prendere dal male che ci circonda. È quell’andare oltre del famoso verso ‘Non ti curar di lor ma guarda e passa’ con cui, nel terzo canto dell’Inferno, Virgilio chiede a Dante di non intrattenersi ancora a osservare i peccatori d’ignavia (guarda caso le anime degli irresponsabili), e di andare avanti.”

Che ruolo ha oggi la poesia?

“La poesia è quella manifestazione artistica che usa le parole e il ritmo dei loro suoni. La poesia vera è quella che nasce dal profondo della coscienza umana ed esprime quello che siamo, quello che abbiamo dentro e quello che percepiamo. Insieme alla musica e alle altre forme artistiche, ha il carattere dell’universalità, ovvero sfugge alle barriere geografiche, sociali, culturali. Nella ‘Babele’ che caratterizza questo nostro tempo, rappresenta l’unico linguaggio capace di restituire senso e contenuto alle parole, di trasmettere armonia e quindi di unire e non di dividere.”

Dobbiamo considerarla uno strumento in grado di essere compreso e utilizzato da tutti o è più un modo di essere, quasi un dono per chi ne sa catturare la bellezza?

“Un noto ministro della Repubblica solo pochi anni addietro disse che “Con l’arte non si mangia”. Non c’è oggi, a mio avviso, un bene più popolare e più democratico dell’arte, in tutte le sue manifestazioni, dalla poesia, alla musica, alla pittura, alla danza, alla scultura. Non è un caso che i regimi dispotici in tutte le parti del mondo abbiano perseguitato e colpito in primo luogo gli artisti e le loro libere produzioni. Siamo certo lontani da quei tempi, ma ancora molte sono le limitazioni, a cominciare dal nostro Paese, che caratterizzano la vita artistica e culturale.”

Pensa che i social abbiano aiutato le persone ad avvicinarsi alla cultura e ai poeti in particolare?

“Penso di sì, anche se il tema dell’uso dei social per la promozione della cultura e dell’arte richiederebbe un serio approfondimento. Si tratta di definire potenzialità e limiti di strumenti innovativi che riguardano, in questo caso, l’educazione e il costume delle nuove generazioni.”

Ai ragazzi che vogliono avvicinarsi al mondo della poesia, quali autori consiglierebbe di leggere per farli innamorare immediatamente di questa forma comunicativa così particolare?

“Vorrei rispondere richiamando i miei primi incontri con l’arte dello scrivere. Sono avvenuti (e non è un caso), fuori dall’ambito scolastico. Non che non mi piacessero brani come l’Addio ai monti di Lucia dei Promessi Sposi (A. Manzoni), o l’Infinito del grande G. Leopardi, ma i testi poetici che più mi hanno catturato li ho trovati nella produzione dei cantautori dei miei anni giovanili: Mogol, Califano, De Andrè, Dalla, e altri ancora. Con il tempo ho capito il perché: alcuni di quei testi, già da soli, oltre a sensazioni vere, trasmettevano suoni, ritmo, armonia, musicalità. Questa per me è poesia.” La poesia rappresenta per lei un percorso di crescita nella vita?

Certamente! Chi scrive, a prescindere dal risultato, sta realizzando una sua facoltà, un suo talento. La scrittura ha innanzitutto un effetto terapeutico, è liberatrice. Riuscire a fissare su un foglio una sensazione di dolore, una sofferenza, una difficoltà ti rende più leggero, ti consente di respirare, di uscire dal buio di quel momento. Se poi provi a continuare a scrivere nei giorni successivi, puoi anche scrivere cose che non ti saresti mai aspettato: questo è il miracolo che avviene quando riusciamo a esprimere una nostra capacità.”

Se potesse scegliere, quale poeta le sarebbe piaciuto incontrare e conoscere? Perché?

“Avrei voluto conoscere due soggetti, ambedue molto ispirati. Il primo è un certo mastro Bruno Pelaggi, bravo artigiano autodidatta, che visse a Serra San Bruno tra 1837 e il 1909 e, in vernacolo, dedicò i suoi versi agli avvenimenti più importanti del suo tempo e della sua terra (la caduta del Regno Borbonico e la venuta dei piemontesi, l’emigrazione verso le Americhe, la mancanza di lavoro). La seconda figura che avrei voluto conoscere volentieri è il noto poeta Nicola Giunta. Il primo, Bruno Pelaggi, mi avrebbe consentito di capire meglio la gente del mio luogo di origine (le Serre Vibonesi), il secondo, di capire la gente della città in cui vivo, Reggio Calabria.”

Pensa che il mondo abbia perso la poesia o che ci conviva senza darle la giusta importanza?

“La poesia è comunicazione di ciò che siamo e che sentiamo, pertanto, non possiamo farne a meno. Vedo con una certa soddisfazione l’intensificarsi di strutture (associazioni culturali, fondazioni) e d’iniziative (reading di autori, concorsi, ecc.) dedicate all’arte dello scrivere e alla diffusione degli autori. Tutto ciò è molto significativo e importante, anche se il problema che abbiamo, ciascuno in misura diversa, è quello del sapere assegnare all’arte il giusto ruolo, ossia il saper vivere in un momento così difficile e convulso. La poesia rappresenta una buona pista.” C’è un brano poetico che si ripete spesso, come se fosse un mantra di buon augurio, capace di infonderle coraggio?

“È la preghiera della serenità scritta da Reinhold Niebuhr: Signore dammi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso e la saggezza di comprenderne la differenza”.

Che ruolo ha la donna nella poesia? È ancora investita del ruolo di musa, come accadeva per i più grandi poeti del passato? O sono l’amore e il dolore che si contendono il ruolo di fonte ispiratrice?

“La natura femminile ha la capacità di attivare la dimensione romantica dell’individuo, quando si vive questa dimensione, si rintraccia quel bimbo che vive in noi e dunque ci si esprime con la spontaneità, la freschezza e la semplicità tipiche dei bambini. Ma, come sappiamo, il cuore e la mente di una donna non si possono governare; capita spesso quindi che quella fonte – la donna – venga ad esaurirsi. Ma non si esaurisce certo la nostra componente romantica che, una volta attivata, ce la portiamo dentro come una compagna di viaggio.” Ringraziamo Vincenzo Filardo per il tempo dedicatoci e per averci dato la possibilità di pregustare lo spirito che ritroveremo tra le pagine del suo libro.

Alla prossima domenica con #InsideTheBook!